Osservando il gioco del calcio ci si rende conto che il modo in cui vive la gara il portiere è completamente differente da come lo affrontano gli altri giocatori. A lui è richiesta la tenacia di non demordere, la freddezza che permette di controllare ogni situazione, subire per primo l’umiliazione dei goal, reagire allo stress del calcio di rigore, ma anche la non esaltazione se compie una bella parata e mantenere intatta la sua concentrazione.

Autore Mister Tommaso Di Maio


Il portiere deve avere un temperamento fatto di vigore, resistenza, solidità emotiva. Tali caratteristiche si possono forgiare solo nel tempo e si raffinano attraverso le esperienze alle quali è sottoposto continuamente come il risultato di una serie sconfinata di prove negative che è stato costretto a superare se, come portiere, voleva sopravvivere. Tra i pali, la mente di chi sceglie di giocare in porta si leviga, il carattere si forma e in questo modo si rafforza. Sapere che le proprie mani sono in grado di bloccare l’azione di un’intera squadra, rende il portiere un grande estimatore di sé stesso e tale elemento si deve consolidare sin da bambino perché i palloni da parare nella vita sono tanti, e facendo il portiere si possono acquisire delle strategie non solo in campo ma nella quotidianità. Tali strategie si assorbono dall’esperienza di una serie sconfinata di traversie, che inizia da quando i portieri, da bambini, scendono in campo con i guantoni più grandi di loro e tentano goffi ed impacciati con quei pantaloni imbottiti, di bloccare la palla che continua a volteggiare su di loro.


Crescendo, si devono abituare a sopportare eventi a loro sfavore, come le grida esultanti degli avversari, nel momento in cui loro sono disperati e vorrebbero piangere a causa di quel goal subito che li fa sentire distrutti.
Non parliamo poi di quando si sentono dire dai compagni che hanno perso la partita, per un goal stupido che ha preso il portiere, o che gli sbagli del portiere sono papere e quelli di loro giocatori sichiamano “mancare la palla”. Per non parlare dei portieri che se si apprestano a praticare l’agonismo, ce la mettono tutta per acquisire la fiducia dei compagni, e sanno che poi basta un episodio negativo per vedersi smontare tutta la stima faticosamente costruita.
Ma se ci si accinge a guardare un portiere in campo a tutto ciò non si pensa, soprattutto se lo si fa con la superficialità che ti fa vedere colui che sta in porta come un giocatore ai limiti dell’area cheall’improvviso entra nella visione del gioco e scompare nel momento che la palla viene rimessa incampo. Di rado egli viene concepito come l’ultimo uomo della difesa di cui fa parte, e se subisce un goal, raramente questo episodio viene letto come un evento di cui tutta la difesa può essere responsabile.

 buffon

Anche i compagni stessi, spesso non si rendono conto che mentxre il loro compito, è quello di conquistare e difendere la palla, quello del portiere è ben diverso, visto che consiste nel dominare la meta ambita dagli avversari. Il suo ruolo, richiede al portiere un grande senso di responsabilità,perché egli è cosciente che un suo errore può essere fondamentale per condizionare il risultato. Ciò lo predispone ad essere sottoposto a critiche a volte gratuite ed immeritate, che spesso influiscono negativamente sulla sua autostima.
Sappiamo come i giudizi sui suoi interventi, spesso non concedono attenuanti. Al portiere non viene perdonato niente, ed è facile che ci si ricordi di lui soltanto in relazione all’ultimo errore compiuto. Anche se la sua partita è stata impeccabile, prendere un goal all’ultimo minuto, non verrà maigiudicato con lo stesso atteggiamento concesso a un attaccante che all’ultimo momento sbaglia un goal davanti alla porta.
I portieri sono capri espiatori per eccellenza, oggetto della rabbia dei tifosi e dei giocatori in ogni caso, in ogni circostanza, perché perdere fa male e se lui ha commesso un piccolo errore tuttipossono trovare un motivo di lamentela, mentre gli altri sono pronti ad assolversi pur avendo laconsapevolezza delle vere ragioni di un risultato deprimente. È più facile asserire che si è perso per colpa del portiere perché ha parato male piuttosto che per non avere saputo centrare la porta
avversaria.
Ecco perché, ogni volta che entra in campo, il portiere si accinge a compiere una sfida verso sé stesso e verso gli altri, e ciò richiede molta fermezza e tenacia. Più degli altri, forse, egli gioca per vincere, o meglio per non perdere. La partita è per lui una sfida dai toni più accesi, perché un ottimo intervento lo innalza sul podio più alto, negando l’esultanza all’avversario mentre da una sferzata ai compagni per lo scampato pericolo. Invece, quando la palla entra nella sua porta, lo rende inequivocabilmente responsabile della sconfitta di tutti.
Mentre l’attaccante esulta a lungo per avere segnato una rete, l’entusiasmo della sua parata, spesso dura poco, perché per mantenere la concentrazione non può soffermarsi troppo su ciò che gli è ben riuscito. Il compagno che fa goal concede alla squadra di far esplodere la tensione accumulata, quindi dona un momento che carica ogni elemento del gruppo. Il portiere può sperimentare raramente questo piacere in relazione ad un suo ottimo intervento, tranne magari che per un calcio di rigore parato ai tempi supplementari.
Tuttavia tutte le situazioni negative che sperimenta sulla sua pelle, tutte le critiche che con facilità lo colpevolizzano, lo fanno crescere di più a livello caratteriale, rispetto agli altri giocatori. Ecco perché, con una certa frequenza, capita che i portieri riescono a giocare ad ottimi livelli anche dopoi 40 anni, non solo perché fisicamente si logorano meno (pur allenandosi duramente e più volte degli altri) ma anche perché il loro stato d’animo è meno vulnerabile.
Sin da piccoli hanno imparato a confrontarsi con situazioni frustranti, come sopportare lo stress di essere sempre attenti e vigili, anche quando il gioco si compie lontano o a mostrarsi resistenti alle prese in giro ed alle facce nere dei compagni che invece di confortare dopo un goal subito tendono a
deprimere.

tommaso

E’ duro dover mantenere inamovibile la stima in se stessi, pur avendo compiuto in precedenza unerrore. Ma soprattutto ciò che rafforza la mente di un portiere è la capacità di sopportare in campo la propria solitudine, nonostante egli faccia parte di un gruppo.
Il portiere deve gestire le sue emozioni da solo, essendo queste diverse da quelle di tutti gli altri: luiprotegge la porta, mentre per gli altri la porta è l’elemento da varcare. Il suo abbigliamento diverso, la sua postura, il fatto che il suo lavoro consiste nel muovere sapientemente le mani più che i piedi,lo rendono consapevole del suo essere un’altra cosa, e lui sa che gli altri compagni non possono comprenderlo a fondo, semplicemente perché non sono portieri.